Jimmy Villotti è partito per l’ultima tournée.

Un grande amico, un musicista eccelso, uno scrittore di notevole qualità e profondità.

In ogni caso ci resta tanto e non ci si potrà mai scordare delle serate passate in modo leggero, affrontando il tema più difficile: la vita.

Lo ricordiamo per come ci ha descritto.

Più che di osteria bisognerebbe parlare di tempio.

Io lo vedo così.

Entrando dalla porta a vetri, appositamente dimessa, si accede all’agorà (piazzetta di transito con bancone di bar e mescita di vino), per poi passare nel pronao e nella sala ipostila corredate di quadri futuristi e foto di scannati jazzisti alle pareti.

Il colore arancione dell’intonaco dei muri e le lucine fioche pentoliformi rimandano, in verità, alla Superba Cnosso o, scendendo un qualche grado dal tasso alcolico, alla tiepida Ferrara d’anteguerra.

Su, oltre le scale di legno, le stanze di ristoro e gli acquartieramenti delle truppe di passaggio.

Una musica soave, a metà tra il canto blusiforme ed il peana attico, perméa e riempie ogni anfratto, nicchia o angolo d’arredo dove svogliati pellegrini mangiano, bevono e si lanciano in azzardi che nulla hanno di umano.

Io tutto questo vedo nell’Osteria.

Jimmy Villotti